Storie sotto il mare

Recensione e intervista di Claire Beaux

“Forse dovrei dare più ascolto […] alle sirene. Loro sanno, nel bene e nel male, come stanno davvero le cose degli umani.” Proprio mentre rimbalzava nei notiziari la vicenda del batiscafo turistico disperso laggiù dove riposa il Titanic, terminavo la lettura di queste duecento pagine di racconti e storie del mare, ops pardon sotto il mare. Non ricordo dove ho letto la frase che più o meno diceva: quando finisci un libro, vorresti che l’autore fosse tuo amico e poterlo chiamare tutte le volte che vuoi. Ecco con i libri di Pietro Spirito a me succede così. Confesso che questo scritto era già pronto una settimana dopo l’uscita del libro (giugno 2023), poi è rimasto nel cassetto: forse aspettava quel giorno di agosto e quell’incontro del tutto inaspettato che diede alla vacanza, cominciata non proprio sotto i migliori auspici, un certo non so che. Rassicurata psicologicamente dal fatto di essermi mostrata “dal vero” all’autore (fino ad allora eravamo solo in contatto tramite i social), con il mio solito ardire, gli scrivo direttamente chiedendogli un’intervista.

Lei, oltre a essere giornalista, autore di documentari e di teatro, è subacqueo: come ha scoperto il mondo sommerso?

È quella che si chiama una passione innata. Sin da bambino, appena ho cominciato a nuotare nelle lunghe estati nel mare di Trieste, ho messo maschera e pinne per vedere cosa c’era sotto la superficie. E sono sempre stato attratto dai racconti delle avventure subacquee e della loro storia, da quando nei primi anni Settanta guardavo in tv i documentari di Cousteau e leggevo Sesto continente di Folco Quilici fino ad oggi, quando i documentari li realizzo e scrivo libri ispirati al mondo sommerso. Il richiamo del mondo sommerso è e resta una pulsione irresistibile.

Oltre a Storie sotto il mare sono andata a rileggermi anche le pagine di L’antenato sotto il mare. Un viaggio lungo la frontiera sommersa (Guanda, 2010) e Un corpo sul fondo (Guanda, 2007), che consiglio vivamente a tutti i sub. I relitti sono una sua passione: da dove viene?

I relitti sono le tracce lasciate sul fondo del mare dall’agire dell’uomo nel tempo e, per me, rappresentano depositi di storia e di memoria. Al di là dell’eventuale interesse archeologico o scientifico, ogni relitto è una testimonianza del tempo custodita dal mare, è il simbolo di una realtà che ci riguarda comunque. Come racconto in un altro piccolo libro dedicato ai relitti, I custodi degli abissi,i relitti riportano esattamente là dov’era il tempo in cui sono stati: il momento in cui sono affondati, l’istante in cui l’acqua li ha coperti per sempre. Battaglie, tempeste, naufragi, abbandoni: la nave affonda portando il tempo in cui è stata. E quanto poi resta, basta ad annullare il tempo stesso. Tentazione irresistibile per un narratore.

Da appassionata di grotte, mi ha colpito la frase: “Ogni grotta una la sua voce, un suo respiro. […] là nell’oscurità, se stiamo attenti, possiamo sentire una voce che ci aiuta a capire quale può essere il nostro posto nel mondo […].” A lei è successo? Se sì, ha voglia di raccontarmi?

La speleologia è l’altra grande passione innata che va di pari passo con la subacquea. Pur non essendo mai stato un esploratore di punta, quest’anno festeggio mezzo secolo da “grottista”. E mi è successo molte volte di ascoltare la voce delle grotte. Le grotte sono i templi del tempo profondo, spazi, forme, architetture create in un arco epocale che sfugge alla nostra comprensione. E il confronto con il tempo profondo aiuta a dare una misura di ciò che siamo. Più banalmente, siccome non esiste una cavità uguale all’altra, in questi spazi vuoti le sonorità mutano di continuo e contribuiscono a evocare quel tempo profondo da cui tutti veniamo. Più volte mi è capitato, ma è esperienza comune a direi tutti gli speleosub in momenti di progressione solitaria, di avere l’impressione di essere seguito, o di avere accanto una presenza. Una volta, molti anni fa, da ragazzino, arrivato in ritardo all’imbocco della cavità, nel tentativo di raggiungere i compagni mi sono perso, e per aggiunta sono rimasto al buio per un guasto alla lampada frontale. Dopo lungo vagare nell’oscurità non so come sono riuscito a ritrovare l’uscita e, al di là del senso panico, ricordo la sensazione di non essere mai stato solo in quell’impacciato peregrinare nel buio.

Più volte, tra le sue pagine, emerge una descrizione ammaliante delle profondità o almeno questo ho percepito io, che più o meno suona così: chi conosce il mondo sommerso se ne lascia sedurre, se sei inquieto vai nel mondo sommerso per placarti l’animo, vai a fondo per pulirti l’anima. Io mi ci ritrovo in pieno, ammetto, anche per lei è così?

Ogni dimensione “altra” porta con sé la possibilità di un confronto, diciamo così, con la propria coscienza, e quindi l’idea di stare a tu per tu con i propri limiti e le proprie debolezze e insicurezze, aiutando a superarle. Il che, di solito, è salutare. Vale per chiunque si confronti con queste dimensioni, da chi sale le montagne a chi si lancia nel vuoto agli speleosubacquei eccetera. E non è necessario che siano imprese estreme. Il mondo sommerso è uno spazio “altro”, per il quale non siamo biologicamente programmati, ma che può avere questa funzione equilibratrice, capace di acquietare, forse addirittura esorcizzare, quelle negatività con le quali a volte siamo costretti a fare i conti “in superficie”. In questo senso scendere sott’acqua, questa specie di “lavacro estremo”, può servire a “pulire l’anima”.

Leggere le pagine di Pietro Spirito è come leggere un romanzo di Verne (autore tra l’altro più volte citato e facciamo caso alla scelta della copertina, la tavola di un libro illustrato per bambini di inizio ‘900, questa volta certo non ci farà dire Don’t jugde a book by its cover): si sale a bordo del Nautilus per un viaggio tra misteriose creature abitanti le grotte friulane, ci si imbatte in ingegnosi uomini come Narciso Monturiol, colui che a fine ‘800 ebbe l’idea della calce per rendere respirabile l’aria ai sommergibilisti, ispirandosi a quanto fanno i polipetti dei coralli, si scorrazza tra le acque minate insieme agli uomini rana e agli incursori della X MAS durante il periodo bellico, per poi riprendere fiato in un “villaggio” sottomarino insieme a Silvana Polese, la prima batinauta della storia.

Come non rimanere poi sorpresi leggendo dell’impresa del batiscafo Trieste, visto quanto appena accaduto. Ci vollero quasi trent’anni perché Jacques Piccard e Donald Walsh potessero, nel 1960, compiere l’impresa di raggiungere il punto più profondo del Pianeta, a -11 521 m il così detto abisso Challenger. Tra l’altro questa “avventura” si colloca temporalmente tra la conquista della cima del monte Everest (1953) e il primo viaggio nello spazio (1961).

Ma perché si chiamava Trieste? Perché è riuscita una tale scommessa alquanto ardua per i tempi? Pietro Spirito racconta in maniera precisa e dettagliata tutto l’iter che comincia nel 1930 con Auguste Piccard, papà di Jacques, e si conclude il 23 gennaio 1960 quando “Walsh preme quattro volte il pulsante dell’interfono […] Abbiamo toccato il fondo.

Tra i vari protagonisti dei suoi scritti, qualcuno ha avuto la fortuna anche di incontrarlo di persona: chi l’ha colpita maggiormente e perché?

Forse proprio Yolanda Versic, l’amica triestina, o meglio istriana, di Jacques Piccard, che seguì passo passo – dando un contributo fondamentale, ma da dietro le quinte – la progettazione e l’impresa del batiscafo Trieste. La conobbi ormai anziana, dopo la morte di Piccard, e il suo racconto da protagonista silenziosa e sconosciuta di quella straordinaria avventura mi ha ricordato quanto gli affetti e le passioni siano molto più importanti dei risultati che tali affetti e passioni contribuiscono a raggiungere. E oggi mantengo rapporti di amicizia anche con gli ex acquanauti dell’Operazione Atlantide, ci siamo molto divertiti insieme nel ricostruire e raccontare quell’avventura degli incredibili e vivaci anni Settanta.

Se potesse decidere di “vivere” la vita (e le avventure) di uno dei personaggi raccontati, chi sceglierebbe?

Forse Hans Hass. È stato un appassionato esploratore che è riuscito a condividere con un vasto pubblico le meraviglie del mondo sommerso, un messaggero di bellezza e di speranza dopo gli anni bui della guerra. E poi lui e la splendida Lotte formavano la coppia subacquea più glamour del mondo. La loro è una bellissima storia di amore e di avventure, hanno saputo coltivare la visione di un mondo condiviso, lezione molto valida oggi più che mai.

Lei, con il centro Studi Squali di Massa Marittima, ha seguito diverse spedizioni scientifiche dedicate all’osservazione e allo studio degli squali: in Sudafrica con i grandi squali bianchi, all’isola di Lampione (Sicilia) per osservare gli squali grigi, a Gibuti per gli squali balena e alle Maldive per gli squali tigre. Cosa si prova di fronte a tali meraviglie? Ne ha in programma altre?

Non sono un biologo marino né tantomeno uno scienziato di qualche disciplina, seguo le spedizioni del Centro Studi di Massa Marittima di Primo Micarelli come volontario per la raccolta dati e come giornalista. Gli squali sono animali affascinanti da molti punti di vista: sotto il profilo naturalistico sono al vertice della catena alimentare e perciò componenti fondamentali per la salute del mare, occuparsi della loro conoscenza e tutela è essenziale in un’ottica di tutela ambientale globale. Sotto il profilo scientifico, invece, c’è ancora molto da scoprire sulla loro etologia, biologia e per alcune specie anche morfologia. Rappresentano un ampio campo d’indagine scientifica che solo negli ultimi decenni ha preso vigore. E poi c’è l’aspetto diciamo così simbolico-letterario: sono anche loro messaggeri del tempo profondo, osservarli da vicino e un po’ come osservare i dinosauri, hanno grandi potenzialità mitopoietiche, come si dice, per un narratore, esattamente come le balene e altri abitanti del mare che hanno nutrito tanta mitologia, tanta letteratura e tanto immaginario. Infine, è semplicemente molto bello ed emozionante osservarli da vicino nel loro ambiente naturale. Adesso mi piacerebbe andare in Madagascar per lo studio degli squali grigi di scogliera.

C’è un “qualcuno” che ricorre tra le pagine, che fa da sfondo ai racconti: lo squalo Pinnamozza che lei ha adottato virtualmente. Ci spiega meglio il suo ruolo? E a oggi, come sta Pinnamozza?

Come racconto nel libro, mentre ero immerso nella gabbia di protezione, anni fa durante la spedizione in Sudafrica, incrociai il mio sguardo con quello di Pinnamozza, come avevamo affettuosamente battezzato un grande esemplare femmina di squalo bianco per via della cicatrice sulla pinna dorsale. Chissà come, nel preciso momento in cui lo fissai così da vicino ricevetti una specie di comunicazione subliminale, ed ebbi la certezza che quel grande squalo – la sua presenza – in qualche modo non mi avrebbe più abbandonato. In quel momento ho capito che siamo noi umani, come diceva Svevo, a essere un’anomalia su questo pianeta, e ne abbiamo la tremenda responsabilità. Come dicono alcuni scienziati, c’è stato un tempo in cui sulla Terra non echeggiava voce umana e, molto probabilmente, ci sarà di nuovo un tempo in cui non si sentirà più voce umana. Pinnamozza, nel racconto del libro e un po’ anche nella mia quotidianità, rappresenta questa coscienza. Per questo continua idealmente a seguirmi nei mari in cui bazzico…

Così in Storie sotto il mare lo squalo Pinnamozza, che nel racconto ho adottato seguendo i suoi percorsi tramite la app acquistata sul sito di Ocean Club, diventa il filo narrativo e coscienza, una specie di grillo non-parlante, che mi guida nelle tante vicende del libro.

La presenza di una curata (e accurata) bibliografia, segno di un lavoro di ricerca approfondito, ma anche molto vissuto tanto da suscitare nell’autore emozioni differenti che emergono tra le righe anche quando non è lui stesso a confidarcele, e una prosa scorrevole come dolci onde sul bagnasciuga, danno pieno diritto a questo libro di avere un posto nella biblioteca di ogni subacqueo.

Sapere come i protagonisti di queste storie hanno affrontato e superato ostacoli alle immersioni (respirazione, pressione, propulsione…), conoscere le loro idee, i loro sogni e le loro difficoltà accresce ogni subacqueo e lo rende più consapevole di tutti gli sforzi, le rinunce, le vite perse che oggi gli permettono di immergersi in sicurezza e facilità per godersi quanto ancora il mare ci offre.

“[…] solo il mare custodisce la verità, o una qualche verità che possa essere considerata tale agli occhi di quel pericoloso, pasticciato e imperscrutabile agire dell’uomo nel tempo che siamo soliti chiamare Storia.”

Pietro Spirito (Caserta 1961), vive e lavora a Trieste.

Scrittore e giornalista professionista alle pagine culturali del quotidiano “Il Piccolo”, ha pubblicato saggi, romanzi, racconti, testi teatrali e curato antologie. Autore di documentari e programmi radiofonici, collabora con la Rai e alcune riviste e periodici. Ha svolto seminari e corsi di scrittura creativa e giornalismo in alcune scuole superiori, università enti e associazioni, ed è fra l’altro socio e collaboratore della Deputazione di Storia patria della Venezia Giulia e della sezione italiana dell’Historical Diving Society. Suoi racconti sono stati tradotti in francese, catalano, croato, ungherese. [fonte: http://www.pietrospirito.it/index.html]

Tra i suoi libri a tema mare e immersioni ricordiamo:

I custodi degli abissi, Ediciclo Editore, 2019

L’antenato sotto il mareUn viaggio lungo la frontiera sommersa Guanda Editore, 2010

Un corpo sul fondo, Guanda Editore, Premio Scritture di frontiera (2007)

Tre i film e documentari sullo stesso tema:

Medusa – Storie di uomini sul fondo, soggetto di Fredo Valla e Pietro Spirito, regia di Fredo Valla (62′, Maxman e Arealpina, Italia 2008).

La frontiera sommersa, di Pietro Spirito e Luigi Zannini, regia di Luigi Zannini (40′, Rai3 Regione Fvg, Italia 2015) 

I segreti del Golfo, di Pietro Spirito e Luigi Zannini, regia di Luigi Zannini (1.a parte 30′, 2.a parte 26 ‘, Rai3 Regione Fvg, Italia 2016)

Trincee del mare – La Grande guerra in Adriatico, di Pietro Spirito e Luigi Zannini, regia di Luigi Zannini (45′, Rai3 Regione Fvg, Italia 2018)

Mare antico – Viaggio alle origini della frontiera sommersa, di Pietro Spirito e Luigi Zannini, regia di Luigi Zannini (33′, Rai3 Regione Fvg, Italia 2019) 

Storie e leggende del golfo – 1, Un relitto pericoloso, di Pietro Spirito e Luigi Zannini, regia di Luigi Zannini, (10′, Rai3 Regione Fvg, Italia 2020)

Storie e leggende del golfo – 2, Il vascello fantasma, di Pietro Spirito e Luigi Zannini, regia di Luigi Zannini (15′, Rai3 Regione Fvg, Italia 2020)

Storie e leggende del golfo – 3, Il porto scomparso, di Pietro Spirito e Luigi Zannini (11′, Rai3 Regione Fvg, Italia 2020)

Operazione Atlantide, di Pietro Spirito, regia di Diego Cenetiempo (31’ A_Lab, Italia 2019)

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